Il mio viaggio nel cuore della Cambogia
Una terra selvaggia che nasconde rare bellezze
L’idea che mi ero fatto della Cambogia prima di partire si può riassumere con una parola: “selvaggia”. In testa i vaghi ricordi e le immagini di Angelina Jolie in Tomb Raider tra i templi di Angkor (che all’epoca non avevo minimamente idea di cosa fossero). Sicuramente mi sarei aspettato un paese povero, abbandonato, umile, emozionante, avventuroso..appunto “selvaggio”.
Pian piano che mi avvicinavo a varcare il confine tra la Thailandia e la Cambogia, avevo un po’ il timore di non sentirmi a mio agio, di patire emotivamente un paese a detta di molti non propriamente sviluppato, paura degli spostamenti in bus per le “strade” non asfaltate cambogiane, paura che non parlassero inglese, paura della giungla estrema che avrei raggiunto sul finale del mio giro. Il piano prevedeva una decina di giorni tra Siem Reap, Phnom Penh e la regione di Mondulkiri. Quello che ho trovato a Siem Reap è stata una cittadina viva, di pura impronta architettonica francese, che pullula di backpackers provenienti da tutto il mondo; ostelli modernissimi e vita notturna sfrenata per le strade che circondano pub street. Sono partito talmente ignorante, e forse stanco dal primo mese e mezzo passato tra India, Nepal, Malesia e Thailandia che non sapevo ci fosse il capodanno buddista khmer (anche in Thailandia lo festeggiano).
Questo ha portato un’invasione di turisti internazionali e non in Cambogia. I festeggiamenti durano 4/5 giorni e mi sono ritrovato nel pieno del tutto! Praticamente è un misto tra la nostra fine della scuola quando ci tiravamo i gavettoni (e non solo) e i festeggiamenti post mondiale 2006. Qui, però, la prendono sul serio e l’acqua che fluttua nell’aria è elevata all’ennesima potenza. I gavettoni non esistono, vanno direttamente di fucili a canne mozze con serbatoi d’acqua allegati a mo di zaino; come se non bastasse, si circola con truck aperti che portano persone e vasche d’acqua con secchi pronti a inzuppare qualsiasi oggetto vivente e non si aggiri nel loro campo d’azione. Ho visto con i miei occhi persone a bordo marciapiede con i mani tubi d’irrigazione aperti a manetta, innaffiando a caso chiunque passi nella loro traiettoria (compreso il sottoscritto). Tutto questo non è umanamente sopportabile…e dura ininterrottamente per 5 giorni; sei rapito, non puoi scappare alla sorte di diventare un pesce con le gambe.
Detto questo, i due giorni ad Angkor sono stati un mix tra misticismo e sudore allo stato puro! Credo di essere stato vicino ad avere le allucinazioni dal caldo e dal tasso di umidità imbarazzante e dalla bellezza surreale del complesso che una volta ospitava mezzo milione di abitanti. Le geometrie, le simmetrie, la precisione delle sculture come se fossero state stampate in 3D o realizzate da un mondo alieno ti lasciano senza fiato e si incastrano magnificamente nel contesto di giungla tropicale nel quale Angkor si trova. Non ho mai visto in vita mia uno spettacolo naturale/architettonico simile. È come se la foresta abbia deciso di inglobare i templi per preservarli da attacchi esterni o come se chi li ha costruiti lo abbia fatto di proposito, conoscendo la natura del luogo; allo stesso tempo è proprio la natura a distruggere e invadere i templi con la forza delle radici e dei rami. Un contrasto tra conservazione e distruzione. Non a caso nel XV secolo Angkor conobbe un periodo di declino (500 anni circa dopo la sua costruzione) per poi essere riscoperta un secolo più tardi dai portoghesi.
La grande città (Angkor deriva dalla pronuncia khmer del sanscrito nagara (नगर in devanagari), “città“. La città con i suoi templi era in gran parte nascosta da una fitta vegetazione tropicale. Nel XIX secolo gli esploratori francesi riportarono alla luce questo straordinario sito. Nel 1907 la regione fu restituita alla Cambogia (durante la dominazione francese).
Visito anche il Tonle Sap e il villaggio Kampong Phluk. Che posto è il lago Tonle Sap? Di una bellezza disarmante. Un lago bianco, etereo, dove l’acqua e il cielo si intersecano, confondendosi si uniscono indissolubilmente azzerando il concetto di orizzonte osservabile. Il tutto è arricchito da case galleggianti (7) e barche di pescatori che faticano nel cercare di non incagliarsi con il fondale basso durante la stagione secca. Il villaggio di Kampong Phluk in questo periodo dell’anno (aprile) non è galleggiante, è prosciugato; è altrettanto suggestivo, camminando tra le strade si possono ammirare le strutture di palafitte alte 4/5 metri per evitare inondazioni nei periodo monsonici. Tra i pali si sviluppa la vita cittadina, domestica, c’è chi cucina, chi gioca, chi si ritrova e chi si fa un pisolino. Dicono che alcune case siano progettate per essere spostate a seconda della stagione!
In questo scenario trovo ispirazione per diversi scatti di reportage e ritratto, interagendo con la comunità locale propio come piace fare a me.
La Cambogia è decisamente marrone, la terra fa da padrone agli scenari, tanto da invadere anche il cielo e creare una foschia marroncina. L’alternarsi di questo effetto ai colori della giungla o al bianco del Tonle Sap manda in estasi ogni tuo senso.
La regione del Mondulkiri è stata sicuramente l’esperienza psico-fisica più tosta insieme al Nepal. Ritrovarsi per 3 giorni nella giungla fitta tropicale umida, piena zeppa di sanguisughe, animale di ogni tipo, deforestazione a tratti incontrollata, è tanto da sopportare persino per me. Ho alternato momenti di profonda estasi nell’ammirare (un po’ come nel Borneo malese) lo spettacolo di queste zone remote, a momenti di dolore fisico lancinante ed esami psicologici importanti. Quando nella notte senti rumori “animali” provenire da altri pianeti o suoni dall’aspetto “cosmico sovrannaturale”, beh te la fai un po’ sotto. Ma sono sopravvissuto, mi sono staccato dalle caviglie e piedi una cinquantina di sanguisughe nel giro di due ore durante un’estenuante trekking di 22 km a 35° con tasso di umidità intorno al 75%: non è uno scherzo. Per fortuna non ero solo, con me la super coppia Alice Davide che ho ribattezzato Sandra e Raimondo, sono stati una spalla importante, insieme alle tre cazzutissime inglesine.
Incontrare gli elefanti del progetto Mondulkiri è stato emozionante, ascoltare la loro storia, i soprusi che hanno subito, le menomazioni fisica derivate dal loro sfruttamento negli anni. Ho fatto il bagno con questi esseri mastodontici, ho giocato con loro, li ho lavati. Se a questo aggiungi che ti immergi in acque marroni, bhe non ha prezzo! Se poi riesci a non prenderti la malaria, probabilmente sei un eroe. EROI!
Dai uno sguardo rapido alla mia galleria di foto della Cambogia
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Il mio viaggio nel cuore della Cambogia
Una terra selvaggia che nasconde bellezze rare
L’idea che mi ero fatto della Cambogia prima di partire si può riassumere con una parola: “selvaggia”. In testa i vaghi ricordi e le immagini di Angelina Jolie in Tomb Raider tra i templi di Angkor (che all’epoca non avevo minimamente idea di cosa fossero). Sicuramente mi sarei aspettato un paese povero, abbandonato, umile, emozionante, avventuroso..appunto “selvaggio”.
Pian piano che mi avvicinavo a varcare il confine tra la Thailandia e la Cambogia, avevo un po’ il timore di non sentirmi a mio agio, di patire emotivamente un paese a detta di molti non propriamente sviluppato, paura degli spostamenti in bus per le “strade” non asfaltate cambogiane, paura che non parlassero inglese, paura della giungla estrema che avrei raggiunto sul finale del mio giro. Il piano prevedeva una decina di giorni tra Siem Reap, Phnom Penh e la regione di Mondulkiri. Quello che ho trovato a Siem Reap è stata una cittadina viva, di pura impronta architettonica francese, che pullula di backpackers provenienti da tutto il mondo; ostelli modernissimi e vita notturna sfrenata per le strade che circondano pub street. Sono partito talmente ignorante, e forse stanco dal primo mese e mezzo passato tra India, Nepal, Malesia e Thailandia che non sapevo ci fosse il capodanno buddista khmer (anche in Thailandia lo festeggiano).
Questo ha portato un’invasione di turisti internazionali e non in Cambogia. I festeggiamenti durano 4/5 giorni e mi sono ritrovato nel pieno del tutto! Praticamente è un misto tra la nostra fine della scuola quando ci tiravamo i gavettoni (e non solo) e i festeggiamenti post mondiale 2006. Qui, però, la prendono sul serio e l’acqua che fluttua nell’aria è elevata all’ennesima potenza. I gavettoni non esistono, vanno direttamente di fucili a canne mozze con serbatoi d’acqua allegati a mo di zaino; come se non bastasse, si circola con truck aperti che portano persone e vasche d’acqua con secchi pronti a inzuppare qualsiasi oggetto vivente e non si aggiri nel loro campo d’azione. Ho visto con i miei occhi persone a bordo marciapiede con i mani tubi d’irrigazione aperti a manetta, innaffiando a caso chiunque passi nella loro traiettoria (compreso il sottoscritto). Tutto questo non è umanamente sopportabile…e dura ininterrottamente per 5 giorni; sei rapito, non puoi scappare alla sorte di diventare un pesce con le gambe.
Detto questo, i due giorni ad Angkor sono stati un mix tra misticismo e sudore allo stato puro! Credo di essere stato vicino ad avere le allucinazioni dal caldo e dal tasso di umidità imbarazzante e dalla bellezza surreale del complesso che una volta ospitava mezzo milione di abitanti. Le geometrie, le simmetrie, la precisione delle sculture come se fossero state stampate in 3D o realizzate da un mondo alieno ti lasciano senza fiato e si incastrano magnificamente nel contesto di giungla tropicale nel quale Angkor si trova. Non ho mai visto in vita mia uno spettacolo naturale/architettonico simile. È come se la foresta abbia deciso di inglobare i templi per preservarli da attacchi esterni o come se chi li ha costruiti lo abbia fatto di proposito, conoscendo la natura del luogo; allo stesso tempo è proprio la natura a distruggere e invadere i templi con la forza delle radici e dei rami. Un contrasto tra conservazione e distruzione. Non a caso nel XV secolo Angkor conobbe un periodo di declino (500 anni circa dopo la sua costruzione) per poi essere riscoperta un secolo più tardi dai portoghesi.
La grande città (Angkor deriva dalla pronuncia khmer del sanscrito nagara (नगर in devanagari), “città“. La città con i suoi templi era in gran parte nascosta da una fitta vegetazione tropicale. Nel XIX secolo gli esploratori francesi riportarono alla luce questo straordinario sito. Nel 1907 la regione fu restituita alla Cambogia (durante la dominazione francese).
Visito anche il Tonle Sap e il villaggio Kampong Phluk. Che posto è il lago Tonle Sap? Di una bellezza disarmante. Un lago bianco, etereo, dove l’acqua e il cielo si intersecano, confondendosi si uniscono indissolubilmente azzerando il concetto di orizzonte osservabile. Il tutto è arricchito da case galleggianti (7) e barche di pescatori che faticano nel cercare di non incagliarsi con il fondale basso durante la stagione secca. Il villaggio di Kampong Phluk in questo periodo dell’anno (aprile) non è galleggiante, è prosciugato; è altrettanto suggestivo, camminando tra le strade si possono ammirare le strutture di palafitte alte 4/5 metri per evitare inondazioni nei periodo monsonici. Tra i pali si sviluppa la vita cittadina, domestica, c’è chi cucina, chi gioca, chi si ritrova e chi si fa un pisolino. Dicono che alcune case siano progettate per essere spostate a seconda della stagione!
In questo scenario trovo ispirazione per diversi scatti di reportage e ritratto, interagendo con la comunità locale propio come piace fare a me.
La Cambogia è decisamente marrone, la terra fa da padrone agli scenari, tanto da invadere anche il cielo e creare una foschia marroncina. L’alternarsi di questo effetto ai colori della giungla o al bianco del Tonle Sap manda in estasi ogni tuo senso.
La regione del Mondulkiri è stata sicuramente l’esperienza psico-fisica più tosta insieme al Nepal. Ritrovarsi per 3 giorni nella giungla fitta tropicale umida, piena zeppa di sanguisughe, animale di ogni tipo, deforestazione a tratti incontrollata, è tanto da sopportare persino per me. Ho alternato momenti di profonda estasi nell’ammirare (un po’ come nel Borneo malese) lo spettacolo di queste zone remote, a momenti di dolore fisico lancinante ed esami psicologici importanti. Quando nella notte senti rumori “animali” provenire da altri pianeti o suoni dall’aspetto “cosmico sovrannaturale”, beh te la fai un po’ sotto. Ma sono sopravvissuto, mi sono staccato dalle caviglie e piedi una cinquantina di sanguisughe nel giro di due ore durante un’estenuante trekking di 22 km a 35° con tasso di umidità intorno al 75%: non è uno scherzo. Per fortuna non ero solo, con me la super coppia Alice Davide che ho ribattezzato Sandra e Raimondo, sono stati una spalla importante, insieme alle tre cazzutissime inglesine.
Incontrare gli elefanti del progetto Mondulkiri è stato emozionante, ascoltare la loro storia, i soprusi che hanno subito, le menomazioni fisica derivate dal loro sfruttamento negli anni. Ho fatto il bagno con questi esseri mastodontici, ho giocato con loro, li ho lavati. Se a questo aggiungi che ti immergi in acque marroni, bhe non ha prezzo! Se poi riesci a non prenderti la malaria, probabilmente sei un eroe. EROI!